Spinta

11.01.2016 07:22

 “Oggi mi trovo a contare le richieste di raccomandazioni ricevute: sono 20 mila, uno sproposito. Un’ansia, una fatica, un imbarazzo quotidiano. Posso dirlo? Un lavoro usurante”: a pronunciare questa frase durante un’intervista al fatto Quotidiano è stato l’ex deputato del Pci-Pds Carmine Nardone, figura non di primissimo piano del panorama nazionale della politica, rimasto in parlamento dal 1987 al 1999. Ovviamente l’ex deputato non dice quanto di queste richieste hanno trovato accoglimento grazie al suo interessamento, né quanti di questi questuanti lo hanno poi votato proprio grazie alla spintarella. Spintarella ricevuta? Carmine Nardone la racconta così: “Il 25 per cento delle persone incontrate rappresenta denunce di abusi subiti, diritti negati, bisogni essenziali travisati o rigettati. Il restante 75 per cento invece è il sunto dell’italiano medio. Ci sono richieste di tutti i tipi, molte volte ragionevoli, altre veramente sfrontate. In quest’ultimo spicchio hanno un peso particolare i supplicanti ossessivi, coloro che vivevano nell’anticamera del potere”. Al di là del caso in specie è la pratica in sé che inquieta, anche se le parole dell’ex deputato non hanno fatto scoprire l’acqua calda o portato in luce una prassi sconosciuta. Se proviamo ad ipotizzare che la stessa massa di richieste di aiutini e spintarelle le abbiano ricevute anche gli altri rappresentanti del popolo italiano che nel corso degli anni hanno appoggiato le loro auguste terga sui lucidi scranni di Camera e Senato, il quadro assume proporzioni gigantesche. Trovati i riceventi, chi sono però i richiedenti? Naturalmente molti, moltissimi italiani che hanno una concezione dei diritti e delle regole solo quando questi vanno applicati ad altri. Magari quegli stessi italiani che poi maledicono la politica corrotta e si indignano di fronte a chi si abbuffa alle spalle dello Stato non pagando tasse o fregando alla grande sugli appalti. Quegli stessi italiani che invocano la gogna per quei politici lesti di intrallazzo, maneggioni e arraffoni, salvo poi andare bussare alla loro porta magari per saltare la fila per una visita all’ospedale o raccomandare il pargolo per un posto fisso sotto le mostrine dell’Esercito. Nel  1976  Luca Goldoni scrisse un bellissimo libro dal titolo “Dì che ti mando io”, che da sempre pare essere il passepartout buono per tutte le porte nel quale lo scrittore annotava le sue caustiche osservazioni su una società abbastanza sgangherata che sopravvive scambiandosi indirizzi e segnalazioni. In sostanza, una via italiana alla sopravvivenza sullo stile di Totò che vende la fontana di Trevi all’americano. E allora come la mettiamo? La mettiamo così: i politici e affini sono lo specchio della società che li ha eletti. Una società che ha pregi e difetti e tante persone pronte a bussare all’ascio per potente per chiedere ciò che forse non sarebbe loro dovuto per le normali strade del merito. Facendo finta di non sapere, come dice Pino Caruso che “la raccomandazione non è un favore fatto a qualcuno, è un torto fatto agli altri”. Poi ovviamente, tutti al rogo dopo essere stati condannati dagli spiriti liberi e onesti che volteggiano nell’aria dispensando buoni consigli non potendo più dare cattivo esempio. (cit. Fabrizio De Andrè, Bocca di Rosa)


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