Marchette qua, marchette là. Tanto alla fine, come diceva Totò ... e io pago!
Guardando in Tv un vecchio film dei primi anni Settanta, per un attimo si è avuta l’impressione di essere ai giorni nostri. Lino Banfi, il protagonista della commedia, per giustificare pranzi a sbaffo, diceva: “Purtroppo i tempi sono quelli che sono, i giovani sono senza lavoro, tutto aumenta...”. Anche allora, nonostante i “favolosi anni Sessanta” fossero appena dietro l’angolo, i problemi reali dell’Italia erano molto simili a quelli di oggi e perfino nelle commedie comiche la situazione del Paese finiva in battuta. Molto, se non tutto, nel corso degli anni è rimasto pressoché immutato nella forma, ma è andato via via aumentando nella sostanza. Da quegli anni ad oggi ci sono state epoche altalenanti in cui abbiamo vissuto come se fossimo seduti sulle sterminate praterie dell’Eldorado. Ci hanno illusi di essere grandi, certamente non per colpa nostra. Ci hanno spinto anche a consumi sfrenati. E noi ci siamo lasciati attrarre dalle sirene dei pifferai magici di turno.
Ricordiamo tutti, vero, la “Milano da bere” degli anni Ottanta quando era obbligatorio vivere il tutto in modo eccessivo? Di quegli anni ricordo un intervento dell’economista premio Nobel Franco Modigliani che seppur guardando lo Stivale dall’America provava a mettere in guardia la classe politica dai guasti che sarebbero derivati in futuro (faceva riferimento al 2010) a seguito di una finanza allegra figlia del consociativismo sfrenato.
In anni più recenti anche Giovanni Agnelli, nel corso dell'assemblea degli azionisti Fiat, pronunciò una frase che ad ascoltarla oggi appare profetica: “La festa è finita”. Troppo facile fare dell’ironia sui veri protagonisti dell’italica festa. Ma la festa alla quale alludeva il presidente della Fiat era quella derivante della spesa pubblica senza freni e dello spendere quasi il doppio di quelle che erano le possibilità della Nazione. Quella festa della quale hanno approfittato in una sorta di gioco double-face politici e italiani disonesti in cui i primi hanno fatto regalie vergognose ai secondi per garantirsi il loro consenso.
I nodi, soprattutto quelli previsti da Franco Modigliani, sono venuti al pettine e adesso l’Italia è su un crinale pericoloso ed è sempre in bilico con il rischio di precipitare nel baratro grazie proprio ad una finanza allegra (che brutto termine) e all’italica propensione di lasciare in eredità ad altri i risultati delle proprie malefatte messe in essere per assicurarsi il potere.
Non stupisce quindi se anche l’anno che abbiamo appena tenuto a battesimo inizia con una raffica d’aumenti da far paura. È così da tempo immemore. Come da tempo immemore c’è la cattiva abitudine da parte del Parlamento di infarcire la famosa Legge Finanziaria o di Stabilità che dir si voglia con regalie milionarie agli amici degli amici.
Basterebbe buttare l’occhio distrattamente al documento finanziario per provare un moto di stizza. Un esempio? È stato messo in preventivo un altro milione e mezzo per ogni anno fino al 2016 per i forestali della Calabria che sono 10.500, vale a dire due volte e mezza il numero dei ranger canadesi che controllano un territorio vastissimo rispetto a quello calabro. Due milioni di mancetta sono stati elargiti all'Istituto Nazionale Ricerche Turistiche (Isnart) per promuovere il “Marchio Ospitalità Italiana”; sei milioni di euro sono andati alla Tv di San Marino non si capisce bene il perché; un milione è andato al Teatro San Carlo di Napoli, 4,5 milioni per il “Recupero di lettere, materiali, documenti storici della Prima guerra mondiale”. E poi, per un po’ di par condicio tra nord e sud 300 mila euro per l'Orchestra “I Virtuosi italiani” di Verona e 14 milioni di euro per la “Soppressione della maggiorazione Tares in Valle d'Aosta”.
Si potrebbe continuare e con cifre molto più alte e anche più incomprensibili, ma accontentiamoci di questi piccoli esempi per evitare di farci ulteriormente ed inutilmente del male. Quindi, alla fine, l’equazione è semplice: spese uguale aumenti; elargizioni facili uguale consenso.
E agli italiani cosa resta? Per rimanere fedeli al mondo del cinema che ha aperto questo scritto non ci resta che affidarci a Totò e alla sua celeberrima battuta fatta nel film “47 morto che parla” del 1950: “E io pago!”. E noi paghiamo.