Mala tempora currunt (e ne arriveranno di peggiori)
L'arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia a Natale ha ospitato nelle stanze dell’arcivescovado 240 persone di cui metà italiani e metà immigrati; una truppa composta da bambini e ragazzi, famiglie con i loro figli, persone sole e senza dimora, rifugiati, senza lavoro e senza casa, rom, persone con difficoltà di salute, anziani soli.
Papa Francesco nell’omelia del Natale ha chiesto, anzi ha implorato, che sia data accoglienza ai migranti in cerca di dignità. La ministra Cécile Kyenge insieme alle due figlie, ha servito il pranzo di Natale in una mensa per profughi, al Centro Astalli di Roma gestito dai gesuiti.
Quelli appena ricordati non sono che piccoli esempi, anche se famosi, che hanno accompagnato il Natale qua e là per lo Stivale. Piccoli gesti, certo, ma gesti nobili che altro non sono che la messa in pratica degli insegnamenti solidali che stanno alla base della dottrina cristiana. Eppure, soprattutto nei confronti della ministra Kyenge, la rete non ha fatto mancare il suo sarcasmo. Così come sull’argomento non sono mancati commenti politici beceri, ma così beceri che solo l’ignoranza di chi li ha pronunciati impedisce loro di provare vergogna.
Qualche pseudo leader ha approfittato, anche di fronte a questi gesti, per parlare alla pancia dei propri militanti e simpatizzanti vari. A costoro, utilizzando la battuta di un famoso comico, basterebbe ricordare che a forza di parlare alla pancia i primi a sentire sono solitamente i coglioni – mi si scusi il francesismo – che notoriamente si trovano nei paraggi. Ma è inutile scandalizzarci, così va di moda. “Mala tempora currunt”: era un detto già in uso al tempo dei Romani, oggi è tornato ad essere prepotentemente d’attualità.
Ognuno naturalmente è libero di vedere il mondo con i propri occhi e di considerare tutti i profughi dei delinquenti, i poveri degli sfigati, i senza casa dei barboni attratti dalla vita on the road o di scambiare i poveri coperti con il cartone per degli originalissimi bohémien.
Riconosciuto ad ognuno il diritto di dire ciò che gli passa per testa, sempre ammesso che ne abbia una funzionante, appare quantomeno singolare il fatto che a mettere in scena canzonature varie siano molto spesso quelle stesse persone che hanno affollato la chiesa per la messa di mezzanotte. Quelle stesse persone, in sostanza, che hanno ascoltato le parole natalizie del vangelo, la storia del bambinello che nasce in una mangiatoia, i re Magi, i pastorelli e così via.
Da laico, o cristiano sui generis, mi permetto di far notare che esiste una forte contraddizione tra l’esteriorità evidente dei canti di Natale e le banalizzazioni volgari di chi con il proprio gesto ha voluta dare un esempio. Purtroppo l’apparire prevale spesso sull’essere, e il considerare gli “ultimi” come il frutto delle propaganda buonista sta facendo proseliti anche in Italia. La crisi, poi, ci ha naturalmente messo del suo. E chi è solito pescare nel torbido per meri fini di bottega nuota tra il malessere reale di molte persone come i pesci nel mare. In troppi urlano a vanvera al solo scopo di eccitare gli animi e dividere le persone. In troppi si affidano alla battuta cafona per provare a far ridere magari chi ha la pancia piena e sgranocchia arachidi di fronte al camino e magari è pure capace di provare compassione di fronte a quelle scene poco natalizie che la televisione ha il coraggio di mandarci in casa a disturbare la serenità dei benpensanti.
Ridiamo pure alle battute dei villani. Voltiamoci pure dall’altra parte. Malediciamo le mangiate pantagrueliche dei giorni di festa che mettono a repentaglio la linea. Infine cantiamo in coro “Tu scendi dalle stelle...” durante la messa del Natale. L’apparire in questo modo sarà salvo. L’essere, ovvero l’essenza di tutto ciò che non è sola materialità, può aspettare. Tanto essendo essenza, non è visibile agli occhi del mondo che ci sta intorno. Sia chiaro: nessuna pretesa di dare lezioni o di insegnare stili di vita. Nessuno di noi può essere così puro da lanciare impunemente la prima pietra. Ma il fare finta di nulla sempre e in qualunque occasione, anche di fronte a fatti villani e beceri, si fa un torto prima a noi stessi che abbiamo ancora voglia di illuderci che i villani siano una minoranza. Magari rumorosa, ma pur sempre una minoranza.