L’ex sindacalista Raffaele Bonanni uomo tutto d’oro
31.10.2014 07:43
Dicono che l’ex segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni in pensione da pochi mesi con 8.593 euro di assegno mensile, non fosse un grande negoziatore. Non era, insomma, uno di quei mastini che azzannano al polpaccio la controparte. Eppure, a ben vedere, a trattare mastino lo è stato, eccome. Almeno una volta ha trattato bene, molto bene. Quando ha trattato per sé. Vediamo i fatti. 
Nel 2006, anno in cui divenne segretario generale della Cisl, il suo primo stipendio era di 118.186 all’anno di ben superiore a quello precedente da segretario confederale quando guadagnava meno di 80mila euro lordi all'anno. Non male come base di partenza. Poi, mentre in Italia i salari perdevano potere d’acquisto, il suo già lauto salario è lievitato nel corso degli anni fino a salire ai 336.000 euro del 2011. Ad occhio e croce quattordici volte la mensilità di un operaio che in teoria l’ex capo della Cisl doveva tutelare.
Ma, se proprio si deve fare un paragone tanto per rendere ancora più amaro il calice della notizia scovata dal Fatto Quotidiano, il prode Bonanni aveva una retribuzione superiore a quella del presidente degli Stati Uniti Barack Obama e naturalmente anche a quella del suo amico Matteo Renzi e ben superiore al tetto fissato per i manager pubblici che ammonta a 240 mila euro. Superiore, anche, a quella di deputati e senatori.
Ora nessuno pensa o pretende che il segretario generale di un confederazione sindacale debba andare in giro con le pezze al sedere, o si debba arrabattare con uno stipendio da mille euro come la maggioranza delle persone rappresentate, ma un po’ di misura non guasterebbe.
Non c’è oggettivamente nessuna ragione logica che possa giustificare uno stipendio simile. Eppure, il giorno stesso che Bonanni andò in pensione pare ebbe a lamentare che il suo assegno tutto sommato era paragonabile a quello di un qualsiasi caporedattore di un giornale o di un qualsiasi dirigente di una piccola azienda, quasi a significare l’esiguità del mensile. Non passò per la mente al Paperon de Paperoni di via Po di sentirsi un super privilegiato per avere l’opportunità di mettersi in tasca una somma mensile che corrisponde all’assegno annuo di milioni di italiani. Forse val la penna ricordare che quasi la metà dei pensionati italiani (il 43,5%, pari a 6,8 milioni di persone), ha un reddito pensionistico inferiore a 1.000 euro al mese ed oltre 2,1 milioni di pensionati (il 13,4%) ha un reddito inferiore ai 500 euro.
Bonanni sostiene di aver versato contributi per 47 anni e che quindi il cerchio si chiude. A parte il fatto che essendo egli del 1949 ed avendo conseguito il diploma all'istituto commerciale versare 47 anni di contributi pare un’impresa ardua per chiunque, ma tant’è! Oltre all’assegno pensionistico che intasca oggigiorno a gridare vendetta è la retribuzione intascata dal momento in cui è diventato segretario generale della Cisl. Come si diceva un aumento esponenziale della busca paga e della relativa contribuzione che alla fine ha portato ad avere i fatidici 8.593 euro lordi al mese. Chi era a stabilire il compenso del segretario? Era forse sé stesso?
In ogni caso – a parere di chi scrive – è una vergogna che un funzionario sindacale, seppure al massimo livello, debba avere una paga superiore a quella del presidente degli Stati Uniti. E, sempre a parere di chi scrive, serve anche una bella faccia tosta per andare in pizza (poche volte per la verità) a lanciare slogan in difesa di operai, cassaintegrati, disoccupati.
Se la ricostruzione del Fatto Quotidiano è tutta vera, c’è di che trasecolare. C’è di che provare amarezza perché – davvero – non si sa più a chi credere. Non più, se non facendo un grande atto di fede, alla politica ormai a livello di una confraternita usa a difendere i propri privilegi e a vivere di slogan e annunci buoni per tutte le stagioni.
È davvero un momentaccio, lontano mille miglia dagli anni in cui, pur con alti e bassi, la politica e il sindacato rappresentavano un sicuro porto verso il quale guardare con fiducia.
E, pare quasi una presa in giro ricordare che il primo presidente della Repubblica Enrico De Nicola dopo l'elezione, arrivò a Montecitorio da Napoli con la sua auto e senza scorta e che per far fronte agli impegni istituzionali si fece rivoltare il cappotto.
Tanta acqua da allora è passata sotto i ponti. E con l’acqua è arrivata anche un po’ di melma.
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