Ladri e grassatori tra le sacrestie dei partiti
Per un momento leggendo i giornali di questa settimana si ha avuto l’impressione di essere caduti nella macchina del tempo ed essere stati riportati indietro di 20 anni. Più o meno gli stessi protagonisti, più o meno la stessa capacità truffaldina di mungere ingenti somme dagli appalti statali. Fatto salvo che sarà la Magistratura e tanti bla bla bla di circostanza a stabilire se e come si è rubato, a leggere il nome dei protagonisti finiti poi nelle patrie galere è stato difficile provare un’altra sensazione che non fosse un triste déjà vu.
Purtroppo dai tempi di Mani Pulite, che pure un po’ avevano fatto sperare in un’Italia migliore, nulla è cambiato. Anzi: è cambiato in peggio se si pensa che dopo la grande abbuffata della Prima Repubblica in Italia la corruzione è aumentata di 12 volte tanto che ha fatto precipitare lo Stivale al 69° posto di Transparency International, ovvero la lista dei paesi meno corrotti, spedendoci dietro il Ghana.
I fatti dell’expo di Milano e i protagonisti sono purtroppo lì a dimostrarcelo. La gente normale, quella onesta, quella che si arrabatta a vivere alla meno peggio non solo giustamente si incavola, ma si pone anche domande disarmanti del tipo: ma che ci facevano così tanti condannati ed ex galeotti, tutti provenienti dalla politica, dalle parti dell’Expo, cioè degli appalti? Già che ci facevano? Non sono bastati mesi e mesi di cella, confessioni e condanne definitive per mettere alla porta i lestofanti e allontanarli per sempre dalle sacrestie (o segreterie?) dei partiti? Anche se adesso molti fanno finta di conoscerli appena, altri di averne perso le tracce da anni, altri ancora fanno finta di stupirsi delle sanguisughe costoro sono sempre circolati tra le sacrestie (o segreterie?) dei partiti tanto che alcuni di costoro era abituali frequentatori anche del Senato della Repubblica ospiti si presume di alcuni senatori e non certamente delle donne delle pulizie.
Quindi, nonostante un ventennio, nonostante il grande clamore delle inchieste e delle condanne (e anche qualche assoluzione) dei tempi di Mani Pulite tutto è proseguito come se nulla fosse. Al limite si sono anche perfezionate le tecniche del furto. Lo Stato, cioè i cittadini, sono mucche da mungere. La legalità è una parola da vocabolario, il rispetto delle regole è cosa da mammolette. E poi ci si chiede perché l’Italia sia il Paese in cui si paghino tasse da gabelle medioevali, che le aziende abbiano difficoltà a competere con l’estero, che i dipendenti abbiamo stipendi al di sotto della media europea, senza voler con questo guadare alla Germania dove gli stipendi sono praticamente il doppio di quelli italiani.
Ce lo si chiede ma la risposta sta nei fatti come quelli dell’Expo e nelle migliaia e migliaia di casi di ruberie e sperpero di denaro pubblico disseminati su e giù per lo Stivale. È pur vero che la classe politica è espressione del popolo da cui arriva, è pur vero che anche gli italiani intesi come popolo sono propensi a considerare lo Stato e la cosa pubblica come entità astratte e a volte nemiche da combattere, ma quando si pensava di aver visto il peggio ci si è dovuti ricredere. È anche in virtù di queste cose indigeribili che trionfano i populismi e i venditori di sogni a buon mercato hanno un seguito straordinario. Dobbiamo quindi consegnarci tra le braccia di chi si erge ad angelo sterminatore? Non esiste altra via?
Certo parlare adesso di speranza è come andar per mare con il canotto rappezzato e pensare di non affogare. O immaginare di scalare la cima più alta dei nostri monti in braghe corte e paperine. Eppure se si perde la speranza e la ragione e ci si affida agli istinti peggiori, alimentati da tanto malcostume, il futuro non potrà che essere fosco. Forse aveva ragione Ennio Flaiano quando diceva che "la situazione in Italia è grave ma non è seria". Concordiamo sui due aggettivi e sulla disposizione dei medesimi. Sta a noi e solo a noi fare in modo che si inverta per sempre la rotta. E magari sperare che le patrie galere offrano vitto e alloggio – entrambi scadenti - per lungo tempo ai grassatori in camicia bianca e con accesso perenne alle sacrestie (o segreterie?) dei partiti.