La mamma degli imbecilli della rete è sempre incinta
La malattia che ha colpito l’onorevole Pierluigi Bersani ha portato in superficie il meglio e il peggio che la rete sa offrire. Non solo: ha reso palesi quei comportamenti che non appartengono solo agli italiani, ma che tra gli italiani, figli di quella Patria del melodramma che si chiama Italia, ha saputo prenderne a prestito i vizi peggiori.
La prima ad impossessarsi della malattia dell’ex leader del Pd è stata la rete. È qui, in questo mare magnum popolato da squali e piranha e più sovente da imbecilli, che il peggio del peggio è venuto a galla. Come può essere classificata una frase del tipo “finalmente una bella notizia” dedicata ad una persona che potrebbe morire? Oppure il sempre verde “Un ladro in meno”. O ancora: “Non deluderci, vai avanti”. Bastano l’odio e il disprezzo per la politica, i partiti, le istituzioni o le èlites in genere a giustificare queste nefandezze verbali? Oggi è chiaro a tutti che va di moda il muoia Sansone con tutti i Filistei, e che è dannatamente cult bruciare sullo stesso rogo colpevoli e innocenti, ma se neppure di fronte alla malattia grave di un uomo si ha la decenza di tacere ciò che ci aspetta per il futuro è davvero nebuloso.
Naturalmente gli interventi più beceri e idioti erano coperti dall’anonimato di un nickname o da nomi e cognomi di fantasia. I sociologi provano a spiegare che al di là degli aspetti di una cultura piuttosto triviale ci sia in certuni la voglia di assaporare, seppur mantenendo spesso l’anonimato, quel famoso quarto d’ora di celebrità che il profeta della pop-art Andy Warhol asseriva essere di diritto per tutti. Forse più semplicemente ciò che succede nelle sterminate praterie della rete, è solo lo specchio del disagio del tempo in cui viviamo oppure il trionfo di quei disvalori che sono sempre più diffusi e ai quali anche le persone per bene cominciano ormai ad essere assuefatte.
Può darsi che alla fine, molto più semplicemente, tutto possa essere ricondotto alla voglia di sfregiare il potente, considerando la malattia come il castigo divino al quale aggiungere l’attacco verbale come fu offerto l’aceto a Gesù in croce. Dimenticando che il potente, o i potenti, non sono arrivati sulla terra da Marte, ma sono italiani delegati tra da altri italiani a rappresentarli nel bene e nel male compresi i pregi e i difetti che sono impressi nel nostro Dna.
Pierluigi Bersani non ha avuto l’esclusiva delle invettive. Prima di lui altri leader politici erano finiti nel mirino dei cecchini della rete. Era toccato a Berlusconi e a Bossi, tanto per restare ai più famosi. Un politico oggi molto in auge all’epoca della malattia di Bossi disse: “L’ictus è la prova evidente che Dio esiste”, e i cafoni giù a ridere. Per restare ai giorni nostri, l’augurio di morte arrivato via rete è toccato anche a Caterina Simonsen, la giovane studentessa di veterinaria che, gravemente ammalata, aveva provato a difendere le ragioni di una corretta sperimentazione animale. In questo caso non ci si è limitati a dissentire sulla sperimentazione o a respingere una pratica discutibile, ma il senso di molti interventi era quello di dire che era preferibile che a morire fosse la giovane piuttosto che le innocenti cavie di laboratorio.
Il rovescio della medaglia è stato la rincorsa affannosa, e qui gli italiani sono imbattibili, a versare lacrime di coccodrillo e a santificare colui o colei che fino a poche ore prima era il bersaglio preferito di ogni libera e gratuita cattiveria. Per cui, per restare a Bersani, il “gargamella incapace”, il ridicolo “smacchiatore di giaguari”, il “grigio burocrate” è diventato via via “avversario leale”, “persona competente ed onesta”, “uomo di specchiata condotta morale” e via discorrendo. Pierluigi Bersani, che pure arrivava da un anno emotivamente faticoso e da tante sconfitte, ha avuto una grande fortuna: si è letto da vivo i tanti coccodrilli a lui indirizzati.
Anche i giornali come al solito hanno fatto la loro parte. Si sono buttati a capofitto sul caso come se Bersani fosse già alla corte di san Pietro. Chi conosce il mondo dei media sa bene che di fronte alla malattia di un famoso o di un potente che vada oltre il raffreddore, ci si affretta a preparare i cosiddetti “coccodrilli” da sparare in pagina o in video qual’ora il malcapitato decidesse di lasciare questa valle di lacrime in orario non consono alla preparazione dei giornali. Funziona proprio così: portiamoci avanti con il lavoro! E poi, più si scivola sul patetico, più si raccontano aneddoti strappalacrime, più si scivola sul malinconico, più si vende. Vamos, a bailar!
Naturalmente, e per fortuna, anche per Bersani e prima di lui per altri, tantissime persone hanno provato a dire la loro con grande e sincero affetto, mandando in rete gli auguri che altrimenti sarebbero rimasti nel cuore di chi provava sgomento di fronte alle sofferenze di un uomo.
La rete e i social network, che sono finiti sotto accusa, non sono assolutamente da condannare. Sono la più veloce e pratica forma di comunicazione che esista. Hanno rivoluzionato non solo il modo di comunicare, ma anche il modo di vivere. La rete, quindi, non va assolutamente condannata. Anzi, va usata e molto ma con criterio. Maledire la rete è un po’ come accusare la pistola che ha ucciso e non l’uomo che ha premuto il grilletto. La rete, infine, e questo non va dimenticato, è esattamente lo specchio della vita reale dove trovi di tutto e di più. Solo che nella vita reale, dove è necessario essere visibili e mettere la faccia, gli imbecilli provano a mimetizzarsi. Non sempre ci riescono. Però almeno non trovano il proscenio per le loro sciocche voglie di becero protagonismo. E quindi, dopo aver gridato, minacciato, offeso, magari coperti dal branco si accorgono che nessuno li ha ascoltati e sbarcano sul web. Dove, Andy Warhol docet, ognuno ha diritto al proprio quarto d’ora di celebrità. Anche in forma anonima.
Ps
(Forza Bersani e forza Caterina)