La vicenda della nave Costa Concordia, a ben vedere, è un po' la metafora dell’Italia. Una metafora di ciò che, nel bene e nel male, siamo noi italiani. Dai giorni tristi del naufragio con il comandante che saluta e si fionda a terra, con gli sfottò mondiali all’Italia da operetta, con quell’ordine impartito dal comandante Gregorio Maria De Falco dalla capitaneria di porto a Schettino (“Cazzo, torni a bordo! È un ordine”) a fare il giro del mondo fino alla riscossa durata quasi tre anni. Tre anni e mai una sbavatura. 
La Concordia in posizione “eretta” e il successivo galleggiamento – in attesa naturalmente dell’ultimo viaggio – può davvero essere la metafora di questa Italia sempre a un passo dal baratro e sempre in qualche modo “eretta” a galleggiare. Dopo gli sfottò di cui dicevamo il lavoro dei tecnici e delle maestranze hanno portato in bella luce l’italico ingegno nonché la bravura di una vera cabina di regia, senza primedonne e senza la politica a fare la ruota del pavone e con essa i soliti danni. In realtà il consorzio che ha avuto l’incarico di seguire tutte le fasi del recupero non è solo italiano. Si tratta del consorzio italo americano, il Titan-Micoperi, incaricato da Costa Crociere di provare a compiere il miracolo. E alla fine miracolo è stato. Si tratta naturalmente di un miracolo laico, ma va evidenziato che lo stesso uso della parola è solo una semplificazione lessicale tanto per rendere l’idea. Nessun miracolo, dunque, ma il più grande progetto di recupero navale della storia, interamente finanziato con fondi privati.
L’idea della Concordia come metafora dell’Italia calza però a pennello. Dalla smargiassata dell’inchino, ai retroscena privati di chi per dovere aveva il compito di essere il punto di riferimento per ogni pur piccola azione, al dramma dei morti... Non è forse vero che l’Italia è un po’ così? Spesso chi ha il compito di guidare la Nazione pensa in primo luogo a sé stesso. Gioca una propria partita mentre la Nazione avrebbe bisogno di una guida sicura e seria. E poi, di fronte all’imminente disastro a volte scappa altre volte è costretto a scappare sempre però maledicendo il destino che per definizione, come era solito affermare Giuseppe Saragat, l’ex presidente della Repubblica, è cinico e baro.
Non sappiamo se anche Francesco Schettino ha maledetto il destino cinico e baro e se si è sentito un perseguitato, insomma quasi come un politico vittima di una ingiusta mala sorte. Sappiamo però, almeno questa è l’impressione che da lontano ne abbiamo ricavato, che nella tragedia, tragedia vera con morti e danni materiali incalcolabili, buon gusto avrebbe imposto al capitano due cose: chiedere umilmente perdono e abbandonarsi alla giustizia prima di sparire. Così non pare sia successo.
Oggi, senza mai dimenticare le 32 morti e senza dimenticare che il copro del cameriere indiano Russel Rebello non è mai stato recuperato, ma del quale resta la memoria di un giovane che i sopravvissuti ricordano impegnato a soccorrere i passeggeri, possiamo guardare al mondo con altri occhi ed essere fieri per ciò che sta avvenendo in questi giorni.
Anche questa è Italia. Forse l’Italia più vera, quella che sa rimboccarsi le maniche e mettere in pratica l’ingegno che ci portiamo impresso nel Dna. Un ingegno che spesso è mortificato dai tanti capitani che siedono sulla tolda di comando e impartiscono ordini sotto forma di leggi così dannatamente astruse da mettere a dura prova anche le capacità più eccelse.
Dicevamo che il recupero della Concordia è interamente opera dei privati. Meno male. A ricordarlo è stato anche il capo della Protezione Civile Franco Gabrielli che ha affermato: “Se questa operazione fosse stata gestita con procedure pubbliche, la nave sarebbe rimasta al Giglio, per i prossimi vent’anni”. Invece la Nave concordia a breve salperà per il porto di Genova. L’agenzia Ansa illustra così il tragitto: “Il viaggio dal Giglio a Genova del relitto della Concordia sarà lungo 200 miglia nautiche, 370 chilometri, e durerà cinque giorni ad una velocità media di 2,5 miglia l'ora, condizioni meteo-marine permettendo: se infatti le previsioni indicheranno venti superiori a 15 nodi e onde di oltre 2 metri per l'arco di tempo che la nave impiegherà a raggiungere la Liguria, non verrà dato il via libera all'intera operazione”. Una volta a Genova, è sempre l’Ansa che ne da notizia, “la Concordia verrà sistemata lungo la diga esterna del terminal container di Voltri e, successivamente, in banchina: sarà questa la fase in cui il relitto verrà alleggerito attraverso la rimozione degli arredi che si trovano nei ponti al di sopra della linea di galleggiamento. La nave sarà poi spostata al Molo ex superbacino per la demolizione dei ponti e dei cassoni che hanno consentito il rigalleggiamento. Infine, quel che resta della Concordia verrà portato al bacino 4 per tutte le operazioni restanti da eseguire in bacino di carenaggio, fino allo smantellamento finale e riciclaggio completo del relitto”.
Ci sarà lavoro per un paio d’anni per alcune centinaia di persone, prima che la nave sparisca per sempre esattamente dove era nata nove anni or sono. Una boccata d’ossigeno per il porto di Genova. E pensare che si era fatta avanti anche l’ipotesi di smantellarla all’estero. Abbiamo temuto che ciò potesse accadere. Poi, per fortuna, la politica – per restare in tema – è stata al largo.