Il Vangelo secondo i due don Matteo
Mentre l’Italia è scossa dalla protesta dei cosiddetti forconi, di cui nonostante tutta la buona volontà è difficile capirne fino in fondo la natura, la politica è attraversata dal venticello del nuovo che avanza sotto le sembianze dei quarantenni alla riscossa. I cantori del potere disseminati qua e là in tutti i media, svegli a capire come tira il vento, si sono subito affannati a parlare di uragano invece di una brezza che soffia appena appena leggiadra. Il che, fatte le debite proporzione, è un po’ come dire: il mio vicino di casa è morto, ma anche io sto poco bene ed ho il raffreddore.
Sgombriamo subito il campo da possibili equivoci: né la protesta né il ricambio generazionale in politica sono da banalizzare. Molte delle cose che stanno alla base delle proteste di piazza sono condivisibili e il nuovo in politica – ammesso che si davvero nuovo – è quantomeno un segnale positivo. In attesa di capire meglio i contorni della protesta esprimo un ragionamento sul versante della politica.
In Italia, a differenza degli altri Stati più evoluti (Clinton a 46 anni era presidente degli Stati Uniti, Obama a 47, Tony Blair a 44 anni Primo Ministro del Regno Unito) il fatto che un gruppo di quarantenni abbia raggiungo il ghota della politica è cosa eclatante. L’Italia, politicamente, è una nazione afflitta da una forte gerontocrazia. Al nuovo rappresentato dal gruppo composto da Matteo Renzi, Angelino Alfano, Matteo Salvini e Giorgia Meloni fa da contraltare l’ottantenne Silvio Berlusconi che gode dell’immortalità riservata alle divinità e di una devozione da far impallidire quella che veniva riservata al leader nord coreano Kim Il-sung. Anche l’ultra sessantenne Beppe Grillo stona tra il nuovo che avanza in politica anche se il suo movimento sta solo muovendo i primi passi. Il nuovo è anche questione di idee, ideali, serietà e credibilità che non sempre viaggiano di pari passo con l’età anagrafica e con il muoia Sansone con tutti i Filistei che pare essere la stella cometa dell’ex comico genovese. Naturalmente tra i rimasugli del vecchio che prova a resistere come l’edera ancorata sui muri c’è anche ciò che resta del centro di Pierfurbacchione Casini e company e delle loro sacrestie. Ma prima o poi qualcuno dirà loro che è arrivato il giorno del game over.
La settimana della soave brezza politica va ascritta però ai due Matteo: Renzi e Salvini i quali, seppur distanti e su sponde opposte, hanno avuto in questo ultimo anno un percorso abbastanza simile e un risultato analogo.
Matteo Salvini, dunque, è il nuovo segretario della Lega Nord. Il suo successo contro Umberto Bossi non lascia spazio ad interpretazioni, ma non impedisce di evidenziare come in poco meno di un anno la Lega abbia mandato il capo in pensione. Dal giorno delle ramazze e dei barbari sognanti in poi (aprile 2012) è stato tutto un fuggi fuggi dalla parti del Senatur per abbracciare prima Roberto Maroni e poi il giovane virgulto milanese la cui corsa è stata tutta in discesa.
Non che non fosse arrivato il momento di cambiare anche in casa Lega, ma la velocità con cui soprattutto i dirigenti del Carroccio hanno abbandonato Bossi che fino a pochi mesi primi era venerato come il Capo, appunto, colui che tutto sa, il grande timoniere, la ragione vivente, lo stratega sopraffine, l’uomo sempre avanti, il lungimirante è sospetta e ingenerosa. Era proprio necessario umiliare a tal punto l’uomo che dal nulla ha messo in piedi un movimento che ha regalato speranze (purtroppo tante speranze) alle aspettative, peraltro legittime, del Nord?
Adesso tocca a Salvini il quale, probabilmente, è l’unico in grado di dare una nuova spinta vitale alla Lega dopo i sopori e i tragici errori commessi negli ultimi anni a partire dalla scelta di Bossi di legarsi mani e piedi a Berlusconi e di circondarsi di dirigenti plaudenti e omaggianti. Chi nel tempo ha provato a ragionare, a far ragionare, a dire magari cose non piacevoli è stato tacciato di anti leghismo e di ogni altra nefandezza. Poi si è visto come è andata a finire. Troppo facile scaricare sugli altri le proprie colpe e vedere cospiratori dietro ogni angolo. Se davvero la Lega ha pescato (anche) nel bacino elettorale della sinistra impari il senso della parola autocritica. Troppo facile e ingeneroso dare la colpa ai militanti dei fallimenti strategici dei dirigenti della Lega.
I dirigenti non lo ammetteranno mai ma le sventure del Carroccio, più ancora che dai famigli e dal cerchio magico e forse anche dalla malattia che ha colpito il vecchio leone, è totalmente da ascrivere alla tenacia di un’alleanza innaturale tra il ruspante Bossi e il pifferaio magico Berlusconi.
Salvini saprà sottrarsi alle sirene del pifferaio di Arcore? In caso affermativo la Lega potrà iniziare una nuova primavera, in caso contrario farà la fine di Rifondazione Comunista e galleggerà con una percentuale di voti simile a quella dei tenaci compagni che dall’alto del loro 2% scarso insegnano al mondo cos’è la politica e come si amministra una Nazione e quali sono i bisogni della gente. Se anche Matteo Salvini, in sostanza, avrà ai suoi piedi tanti yes man e ogni qualvolta qualcuno proverà a fare discorsi un po’ meno fideistici verrà messo all’indice, il nuovo sarà pari al vecchio solo con protagonisti diversi. E sulla storia quasi trentennale del Carroccio calerà per sempre il sipario.
Passando a Matteo Renzi, anche il giovin putto fiorentino, in meno di un anno non solo ha capovolto un risultato negativo, ma è riuscito a stravincere anche in virtù dell’assalto di quasi tutti i dirigenti dei Pd alla sua diligenza. È pur vero che dalla sconfitta con Bersani dello scorso anno e tutto quanto è successo in seguito ha rappresentato per il Pd e più in generale per la politica italiana una vera rivoluzione copernicana. Ma l’entità del successo del sindaco di Firenze, piacione e scaltro oltre ogni limite, comunicatore eccellente, eloquio sciolto, decisionista e con una resistenza fisica invidiabile, lascia stupefatti. Il suo è stato un tripudio dovuto, come si è detto, sia alla propensione italica di accorrere sempre in aiuto del vincitore e anche dalla capacità di regalare sogni. Matteo Renzi ha promesso una vera rivoluzione attraverso un programma impegnativo. Se lo attuerà, ovviamente non da solo, sarà stato il miglior investimento per il centro sinistra italiano dopo anni di batoste. E sarà anche – lo si spera – un buon viatico per l’Italia del futuro.
I quarantenni dovranno archiviare in fretta la fantomatica Seconda Repubblica e dare all’Italia un assetto meno condizionato e burocratico, meno intrallazzatore e meno inciucista. Ognuno per la propria parte.
C’è attesa e curiosità di vedere all’opera soprattutto Matteo Salvini e Matteo Renzi. Probabilmente si troveranno sempre su sponde opposte. Ma se l’Italia diverrà davvero bipolare e saprà mandare in soffitta un ventennio di cui c’è poco da salvare, avremo qualche speranza. Altrimenti sarà davvero l’ora del forconi, con tutto ciò che ne consegue.