Il Senato, Verdini, i canguri… Tutto tace. Né girotondi né comici all’assalto.
02.10.2015 09:50
I sondaggi valgono per quello che valgono, ma prendendoli un po’ per buoni ogni tanto una buona notizia, merce sempre più rara, arriva anche da lì. L’Huffington Post ha pubblicato un sondaggio, o meglio una simulazione, realizzata da Euromedia Research dalla quale si scopre che se Matteo Renzi imbarca nel Pd Denis Verdini perde sette punti a tutto vantaggio dei 5Stelle che balzerebbero al 32% diventando praticamente il primo partito. A qualcuno è scappata la domanda: perderebbe solo sette punti?
Logica direbbe che dovrebbe precipitare allo zero virgola qualcosa, ma ormai la politica è quella che è e l’etica ha lasciato il posto a quella che viene definita realpolitik. Sotto questo inglesismo si perpetrano i maggiori misfatti. Ma ciò che è stato simulato da Euromedia probabilmente non si avvererà, anche se Matteo Renzi qualcosa alla fine potrebbe perderlo di suo senza l’aiuto dell’amico Denis. Non succederà perche il primo ministro è piuttosto attento a curare il proprio orticello e soprattutto è abituato a usare le persone fin quando servono alla causa. Alla sua naturalmente. Quindi nonostante il soccorso portato dall’ex braccio destro del (fu) cavaliere quando Verdini non servirà più farà o potrebbe fare la fine del patto del Nazareno. In ogni caso la sola eventualità che Verdini – che ha una storia politica che nulla ha a che fare con il Pd diciamo pre Renzi - e la sua truppa di transumanti da Forza Italia arrivi nel Pd dovrebbe far rabbrividire chi si ostina a pensare che in fondo la politica è meno peggio di quello che appare. Invece poche voci fuori dal coro si sono levate all’eventualità di vedere il senatore toscano sotto le insegne dello stesso partito di Renzi. Staremo a vedere. Per adesso accontentiamo della manfrina che va in onda al Senato e dei voti già arrivati dai Verdini boy. Intanto si mette fieno in cascina, non si sa mai se dovesse nascere il famoso Partito della Nazione che piace tanto al primo ministro meglio essere dalla parte giusta della barricata. E tutto questo accade nel silenzio più assordante non solo dell’intellighenzia, ma anche dei tanti comici e girotondini vari che erano lesti a sbeffeggiare Silvio Bersluconi (e abbiamo riso di gusto) e a scendere in piazza a difendere la democrazia dall’attacco del ticoon di Arcore. Adesso sono tutti cheti cheti. Sarà l’età che li ha portati a fare i girotondi attorno alle panchine del parco o con la pancia strapiena si sono scoperti giullari di regime? Si diceva poc’anzi dello spettacolo del Senato.
Ieri (1 ottobre), perso in un attacco di masochismo, per un paio d’ore ho seguito via web il dibattito sull’articolo 1 del ddl di riforma del Senato quello presentato da Roberto Cociancich (Pd) che ha il potere di far decadere tutte le altre proposte di modifica. Ebbene, alla fine delle due ore e passa di diretta web, anche il masochismo che mi ha tenuto incollato al Pc è scappato. So bene di essere dotato appena di un briciolo di normale intelligenza, ma dopo due ore non avevo capito praticamente nulla del contendere. A parte le risate che mi hanno regalato i senatori che stentato a mettere in fila tre parole di italiano di seguito, mi sono perso tra emendamenti, sub emendamenti, tagliole e canguri… Una cosa però è apparsa chiara anche ad un profano di regole e tecniche parlamentari con il sottoscritto: non solo le leggi, ma anche i regolamenti sono fatti per essere interpretati e non rispettati. Interpretati naturalmente in favore del più forte. Non si spiega altrimenti ciò che è successo ieri a Palazzo Madama dove il presidente Pietro Grasso è apparso spesso in difficoltà non tanto perché l’Aula era diventata una sorta di suk arabo, non tanto per le varie accuse di essere parziale che gli sono state indirizzate dai banchi della minoranza ecc. ecc. Forse l’imbarazzo trapelato era solo la conseguenza della vergogna provata da un integerrimo magistrato che sì è visto praticamente costretto a portare in porto una riforma costi quel che costi perché così ha deciso il governo. Certo nessuno lo ha costretto, ma anche questa cosa va ascritta alla realpolitik. La realpolitik fa piacere tutto: regolamenti adattati alla bisogna, canguri e tagliole e naturalmente l’affascinante Denis Verdini.